Schematicamente possiamo classificare le malattie legate all’alimentazione in tre categorie:
- Le malattie nutrizionali: sono causate sia da un eccesso sia da una carenza. Il rachitismo e lo scorbuto sono due esempi abbastanza noti.
- Le malattie legate alla tossicità degli alimenti: in questo caso l’alimento è tossico qualunque sia l’individuo che lo consuma. Esiste una tossicità a breve termine, molto rara: di fatto non si confondono tutti i giorni i prataioli con le amaniti falloidi. Ma esiste anche una tossicità a lungo termine provocata da agenti naturali o chimici. Alcuni agenti possono esercitare una tossicità sul sistema nervoso o sul fegato, essi, nello stesso tempo, possono divenire cancerogeni. E’ il caso di intossicazioni chimiche dovute a certi metalli pesanti.
- Le malattie legate al cattivo rapporto fra alimenti e individuo: in queste malattie, l’alimento non ha una tossicità intrinseca, ma diventa tossico perché l’individuo non lo può metabolizzare o è allergico. E’ una questione di tolleranza individuale. Quando si parla di queste malattie, si pensa immediatamente alle allergie alimentari ( al sedano, alle fragole, alle arachidi…) con le loro manifestazioni: orticaria, edema di Quincke, talvolta choc ipotensivi, morte. Queste allergie, dette reattive, non rappresentano che una parte delle allergie in generale. In effetti, anche altre allergie meno eclatanti sono comunque presenti. Sono le ormai famose intolleranze alimentari, o allergie nascoste o HSR ( ipersensibilità ritardata).
Al giorno d’oggi gli studi rivolti alle allergie e alle intolleranze alimentari sottolineano tutti l’importanza della definizione delle parole utilizzate. In effetti, in materia di definizione, regna una gran confusione. Alcuni autori parlano di intolleranza quando invece siamo in presenza di un’allergia, alcuni altri preferiscono restringere il campo alla parola allergia, in modo generico.
Tutte le patologie provocate dall’alimentazione sono indicate come “adverse reaction to food” che possiamo tradurre “reazioni ostili agli alimenti“.
Queste reazioni ostili sono però di due tipi: reazioni che non sono dovute a sostanze tossiche e quelle dovute invece a sostanze tossiche. Le reazioni non dovute a tossicità sono suddivise in due tipologie: quelle dipendenti dal sistema immunitario dette “allergiche” e quelle invece indipendenti dette “intolleranze“.
All’interno di questa classificazione, l’intolleranza può essere divisa in :
- Intolleranza di origine enzimatica (esiste un deficit enzimatico)
- Intolleranza di origine farmacologica legata agli effetti diretti di certe ammine vasomotrici contenute negli alimenti ( dette anche pseudo-allergie)
- Intolleranze indefinite
Questa classificazione, per bella che sia, è molto accademica e senza dubbio è stata proposta dai biologi che non hanno tenuto conto dei dati clinici [ Nogier,1999].
Nel momento in cui un paziente mangia un alimento che lo affatica, non si può sapere a priori se si tratti di un meccanismo allergico o non allergico. Motivo per il quale è stato coniato il termine intolleranza: “questo termine caratterizza una patologia dove un tipo di alimento provoca disturbi negli individui che sono predisposti da una fragilità costituzionale, la sensibilizzazione resta esclusa. Alla base del concetto di intolleranza v’è l’ipotesi di meccanismi farmacologici non immunologici”. [ Vautrin, 1998].
Ci si accorge della difficoltà di linguaggio nel momento in cui si parla di intolleranza al glutine che è una malattia di cui non si conoscono la o le cause e che dipende probabilmente da un meccanismo immunologico, o quando si parla di intolleranza alle proteine del latte vaccino che diventa spesso, nella nomenclatura clinica, una allergia.
La classificazione, forse, più convicente è quella definita da Gell e Coombs, anche se ancora poco usata nel linguaggio medico corrente:
- Ipersensibilità di tipo I o allergia mediata o ancora IgE dipendente o reaginica. Facilmente riconoscibile attraverso segni digestivi (vomito e diarrea), segni respiratori (broncospasmo) e cutanei ( edema di Quinke), orticaria, edema delle labbra e della mucosa della bocca; si può anche arrivare ad uno choc anafilattico;
- Ipersensibilità di tipo II, interviene solo in casi eccezionali;
- Ipersensibilità di tipo III, dipende dalla presenza di IgG e di IgM antialimento. Quando esse sono nascoste in gran quantità si possono osservare degli infiltrati infiammatori a livello intestinale con orticarie cutanee
- Ipersensibilità di tipo IV, è la più difficile da diagnosticare. E’ stata molto studiata sugli animali all’interno di un modello di fattori di rigetto. Questo meccanismo è verosimilmente responsabile di numerose enteropatie e in modo particolare della malattia celiaca. Si tratta di un’ipersensibilità di origine immunologica cellulare. La si ritrova nell’intolleranza alle proteine del latte vaccino dove provoca una diarrea cronica, dolori addominali e, nei bambini, un rallentamento della crescita staturo-ponderale con una artrofia delle villosità intestinali alla biopsia.
Una breve ricerca bibliografica dimostra che l’intolleranza alimentare in generale è stata studiata molto poco. Gli articoli in letteratura scientifica riguardano principalmente l’intolleranza al glutine o alla malattia celiaca e l’intolleranza alle proteine del latte vaccino nel bambino. Difficile trovare delle ricerche sistematiche sulle intolleranze riguardanti altri alimenti.
L’allergia è normalmente una risposta immediata, che compare nel giro di pochi minuti, più raramente entro qualche ora, dal contatto con la sostanza incriminata e implica l’intervento delle IgE e dei mastociti. L’intolleranza, invece, è per lo più una reazione lenta, determinata dall’intervento di cellule o anticorpi diversi dalle IgE, che insorge dopo ore o giorni di assunzione ripetuta della sostanza.
Se una allergia rappresenta un fenomeno così acuto da poter essere identificato quasi a occhio nudo (pensate al raffreddore da fieno primaverile), la reazione d’intolleranza viene molto più facilmente trascurata perché somiglia, per certi aspetti, a un lento avvelenamento. In pratica l’organismo riconosce il “nemico”, lo “tiene d’occhio”, cercando di limitare i danni, e “scoppia” solo se l’introduzione dell’alimento prosegue fino ad oltrepassare le possibilità di controllo dell’individuo.
Se dunque “non digerire i peperoni” non indica una ipersensibilità alimentare (ma soprattutto fenomeni metabolici), un’intolleranza al latte ( magari graditissimo al paziente che non ha mai avuto problemi a digerire i formaggi) può essere la causa di un mal di testa refrattario a qualsiasi cura, può impedire la guarigione di un’infezione genitale, può amplificare il dolore di una patologia complessa come l’artrite reumatoide, può acutizzare una allergia respiratoria o cutanea…
L’elenco delle patologie che possono ritrovarsi collegate ad una intolleranza alimentare cronica è vasto:
- Segni generali: disgusto per un alimento ( molto spesso accade con il latte); fatica; ipotensione, insonnia ( osservata spesso con la farina di grano, the, caffè ed agrumi)
- Sintomi digestivi: dolori tipo colica; pesantezza; alternanza di stipsi e diarrea, emorroidi; gonfiori intestinali
- Segni cutanei: pruriti inspiegabili; pelle pallida o rossore sul viso e sul torace; venature specie sulle coscie; edemi agli arti inferiori; tendenza a scottarsi facilmente esponendosi al sole; occhi cerchiati ( specie nel bambino), eczema, perdita di peli e di capelli a chiazze o totale ( specie nelle intolleranze agli olii)
- Segni respiratori: rinite; asma
- Segni articolari: dolori articolari inspiegabili, esami nella norma ma il dolore resta ( accade molto spesso con il latte)
- Segni neuro-psichici: disturbi dell’umore, emicrania ( molto frequente nelle intolleranze al latte, cioccolato,the, caffè,oli, agrumi, carne bovina); ansia
- Segni cardiocircolatori: ipotensione; tachicardie
- Segni ginecologici: mastodinie e mastopatie fibrocistiche; disturbi premestruali molto accentuati; dolori pelvici ricorrenti senza apparente motivazione; disturbi ovulatori
- Segni nel bambino: otiti frequenti; tosse secca ( zucchero) ; iperattività, insonnia nel bambino.
In presenza anche di un solo segno tra quelli elencati, che disturbi da parecchio tempo il paziente, senza cause apparenti e senza esiti terapeutici positivi è sempre consigliabile indagare le intolleranze.